Canoni concordati (Patti territoriali)
Contratto di affitto in cui il canone mensile non è libero, ma stabilito in base a specifici “accordi territoriali” che coinvolgono i Comuni, le organizzazioni di inquilini e di proprietari e il Ministero dei Lavori Pubblici. Nel Comune di Venezia tale accordo è stato rinnovato il 28 marzo 2018. In generale, questi contratti sono vantaggiosi sia per l’inquilino poiché il canone è inferiore al prezzo di mercato, sia per il proprietario che gode di alcune agevolazioni fiscali. (link: https://www.comune.venezia.it/content/patti-territoriali text: https://www.comune.venezia.it/content/patti-territoriali )
Città storica
I sestieri veneziani inclusa l'isola della Giudecca.
Città insulare
La città storica + l'estuario e le isole minori.
Terraferma
Il territorio non insulare del Comune di Venezia.
Comuni ad alta tensione abitativa
Sono una serie di comuni, individuati per legge e in base a delibere del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), nei quali è presente un forte disagio abitativo. Tra i Comuni ad alta tensione abitativa vi sono tutte le maggiori città italiane e i capoluoghi di provincia. Proprio in ragione del disagio abitativo, si prevede che ai proprietari che concludono contratti di locazione a canone agevolato o concordato siano concessi significativi benefici fiscali (cedolare secca al 10%).
E.R.P. (Edilizia Residenziale Pubblica)
È costituita da alloggi il cui canone di locazione è commisurato al reddito delle famiglie locatarie. Vi si accede tramite bando comunale che ne identifica i criteri di accesso e relativa graduatoria. La proprietà di tali alloggi è di Enti o Amministrazioni pubbliche mentre la gestione può essere affidata a soggetti terzi.
I.P.A.V. – Istituzioni Pubbliche di Assistenza Veneziane
Tra gli enti socio-assistenziali rivolti alla persona più importanti del Veneto. Gestisce strutture socio-sanitarie, residenziali, centri servizi rivolti ad anziani, di riabilitazione, comunità alloggio per ragazzi e ragazze con difficoltà famigliari e di disagio giovanile, ecc. I.P.A.V. è proprietaria di un ingente patrimonio disponibile, derivante da lasciti e donazioni, costituito da 587 immobili a destinazione abitativa e 211 con destinazione diversa (negozi, alberghi, magazzini, …) localizzati in massima parte nella Città Storica di Venezia. Questi immobili sono locati con contratti del tipo libero o conformi agli accordi territoriali. Le nuove assegnazione di abitazioni sfitte sono decise attraverso gara a base d’asta al massimo rialzo. La redditività lorda degli immobili del patrimonio disponibile di I.P.A.V. è pari complessivamente a circa dieci milioni di euro annui (dato aggiornato al 2021).
ISEE-ERP
Indicatore della Situazione Economica Equivalente per l’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP): introdotto da legge regionale determina l’accesso, la permanenza e il calcolo dei canoni di locazione degli alloggi ERP.
Legge speciale per Venezia
Con questo termine si indica, in modo generico, un complesso di interventi legislativi “speciali” che, a seguito dell’alluvione del 1966, sono stati approvati nel tempo con il fine di perseguire la salvaguardia fisica, ambientale e socio-economica della città. Per quanto concerne la casa e la residenzialità, è particolarmente rilevante la legge n. 798/1984 (seconda legge speciale dopo la prima del 1973) che introduce importanti investimenti per l’edilizia residenziale e contributi ai privati per il risanamento di immobili di proprietà, con destinazione abitativa vincolata per alcuni anni.
Locazioni brevi turistiche
Sono una tipologia di contratto di locazione di immobile ad uso abitativo che coniuga lo scopo turistico (l’abitazione cioè non viene affittata per risiederci stabilmente) con la brevità della relativa durata (almeno inferiore a 30 giorni, ma spesso limitata a pochi giorni). Si tratta della tipologia contrattuale più frequente con la quale le case a Venezia sono affittate ai turisti. La sua grande diffusione è legata all’avvento delle piattaforme di home-sharing; la più nota fra queste è Airbnb (nata nel 2008). Non essendo una tipologia ricettiva vera e propria, le locazioni turistiche brevi non ricadono nella competenza legislativa regionale in materia di strutture ricettive (diversamente da B&B, affittacamere, ecc.), ma in quella statale.
Equo canone
Con la legge L.392 del 1978 si introdusse una calmierazione dei canoni di affitto: i contratti stipulati non potevano superare il cosiddetto “equo canone”, un valore stabilito sulla base di alcune caratteristiche dell’alloggio locato, come il tipo di immobile (rurale, ultrapopolare, popolare, economico, civile, signorile), il livello di piano, lo stato di conservazione, la zona della città, l'accesso o meno al trasporto pubblico locale, le dimensioni della città. La legge fu abrogata nel 1998 e da allora i canoni di affitto privati sono completamente sottoposti al mercato.
“A mente fredda” sullo spopolamento di Venezia
Riflessioni sulle cause e le possibili contromisure
La discesa al di sotto della soglia psicologica dei 50.000 abitanti ha prodotto nelle scorse settimane un fiorire di articoli, commenti e dichiarazioni, animati alternativamente da viva preoccupazione, stanca rassegnazione, ostentata indifferenza. Ben venga l’iniziativa di Venessia.com, che ha l’indiscusso merito di riportare ancora una volta l’attenzione e il dibattito pubblico su un tema centrale per la città.
Tuttavia, una volta compreso che la situazione è preoccupante, forse non è il caso di inseguire in modo esasperato l’esatto conteggio degli abitanti. Mettiamo un momento da parte i grafici che, dal 1951 ad oggi, segnano una linea rossa che precipita irrimediabilmente verso il baratro; interrompiamo i bollettini sui vivi e sui morti rilanciati con cadenza mensile; basta con le proiezioni alternative ricavate dalle fonti più disparate, dai consumi domestici ai medici di base; basta con la storia dei domiciliati vs residenti e degli studenti che ci riportano a boccheggiare sopra soglia.
Tutto questo parlare di numeri ha finito infatti per allontanare il dibattito pubblico dalla questione centrale: un serio ragionamento sulle cause di questa emorragia di abitanti. Perché nel 1951 c’erano 174.086 abitanti nella città storica e oggi siamo scesi sotto quota 50.000?
Tutto lo sforzo d’indagine si concentra attorno ai numeri, per scovare qualche centinaio di abitanti effettivi in più o in meno, mentre le cause rimangono circondate da una nebbia indistinta. Ci si rifà ormai al luogo comune, al sentito dire, alla percezione diffusa, all’esperienza di vita, senza alcuna analisi seria e rigorosa. Chiunque avanza la sua personale “causa dello spopolamento”: manca il lavoro, mancano i servizi, il trasporto non funziona, non si fanno più figli e si muore di più, piace la comodità della Terraferma e così via. Tanto che qualcuno arriva a formulare le tesi più strampalate, senza neppure arrossire: come i proprietari degli affitti turistici, i quali – sventolando il famoso grafico – ci dicono che le locazioni brevi non incidono sullo spopolamento, ma anzi salvano gli ultimi dei Mohicani (che sono solo loro, naturalmente) dall’altrimenti ineluttabile trasferimento in campagna.
Proviamo quindi a lasciare da parte i numeri assoluti e a ragionare seriamente sulle cause dello spopolamento, offrendo alcuni elementi di riflessione, fondati sui dati e sulla ricerca sociale e storica. Con l’auspicio che anche i principali attori istituzionali (comune, regione, università) possano tornare a realizzare ricerche più strutturate, riparando all’improvvida chiusura di COSES e Osservatorio Casa comunale.
Ma partiamo dalle cause storiche dell’esodo, come emergono da un’indagine del CENSIS (Caratteri dell’esodo della popolazione del centro insulare di Venezia, 1973), che ci racconta come il salasso più consistente e repentino, quello realizzatosi a partire dagli anni Sessanta, abbia nella casa la sua ragione principale. E non nel lavoro, come si pensava, se si calcola che nel 1970, a fronte di 4.000-5.000 veneziani che si spingono quotidianamente a lavorare in terraferma, 21.700 cittadini (soprattutto veneziani trasferiti) fanno il percorso inverso per lavorare in città. Quanti sono oggi questi ultimi? Basterebbe contarli per smentire il luogo comune del “non c’è lavoro” (che poi sia quasi tutto nella monocultura turistica, con tutto quel che ne consegue, è un altro paio di maniche…). Ci limitiamo a segnalare che la proposta preliminare del progetto “Venezia, capitale mondiale della sostenibilità” (2021) arriva a quantificare il flusso del pendolarismo giornaliero di lavoratori/studenti in 55.000 unità (esclusi ovviamente tutti i turisti).
Ma torniamo all’indagine del CENSIS del 1973: tra i veneziani intervistati, emigrati dalla città tra ’64 e ’68, ben il 60,2% sostiene che la causa principale dello spostamento è stata la ricerca di alloggi più salubri e moderni. Ma attenzione: non si tratta della modernità dell’ascensore o della televisione, ma più semplicemente di avere un bagno o la doccia in casa, il riscaldamento d’inverno o non dover essere esposti all’acqua alta in piani terra insalubri. Solo il 48,1% degli intervistati disponeva dei servizi; solo il 25,5% di un impianto di riscaldamento; il 35,1% viveva in piani terra regolarmente inondati. Una ragione in più per mettere definitivamente da parte l’evergreen del veneziano abbagliato dalla sfolgorante modernità mestrina – che pure avrà giocato una sua parte nella scelta di molti – e accettare una realtà molto meno rutilante, ma più vicina ai fatti storici[1].
Aggiungiamo a questi dati che il 73,4% degli intervistati ritiene che siano la condizione degli alloggi e i fitti eccessivi gli svantaggi principali della residenza a Venezia, mentre solo il 25,7% ha voluto avvicinarsi al luogo di lavoro e un misero 6,4% ha cercato, spostandosi a Mestre o fuori comune, migliori possibilità di impiego.
Sarebbero tante le cose ancora da dire, ma ci limitiamo alle più significative per non appesantire troppo la lettura: chi vuole approfondire, può trovare una bibliografia essenziale in calce allo scritto.
Prima di proseguire, aggiungiamo qualche dato interessante che emerge dal Censimento del 1971[2]: a Venezia città d’acqua (Giudecca compresa), di 35.000 abitazioni, ne abbiamo grossomodo 10.000 abitate dai proprietari, 23.000 in affitto/comodato o altro titolo, 1.000 vuote. I residenti sono ancora 107.761.
Facciamo ora un balzo in avanti di quarant’anni e siamo al Censimento del 2001[3]: gli immobili sono più o meno gli stessi, d’altronde a Venezia spazio per costruire ed espandersi non ce n’è (fatta eccezione per l’edificazione di Sacca Fisola). Il rapporto degli immobili occupati però è drasticamente invertito: le case abitate da proprietari sono salite a poco meno di 18.000 (quasi raddoppiate), mentre quelle in affitto/comodato sono crollate a 10.000/11.000. Restano poi più di 5.000 case vuote (che saliranno a oltre 8.000 nel 2011). I residenti sono diventati 65.695.
Dieci anni dopo (Censimento 2011), stessa storia: le case abitate da proprietari sono pressoché stabili (17.500), mentre quelle in affitto calano ancora (8.909)[4].
Cosa è successo in quaranta cinquant’anni?
È facile verificare che chi vive a Venezia nei primi anni del Nuovo Millennio è soprattutto chi ha una casa di proprietà, ereditata o acquistata nel frattempo (poco c’importa se siano gli stessi veneziani doc del ’71, i loro eredi o nuovi cittadini “foresti”), mentre l’emorragia si verifica sul fronte dei veneziani in affitto. Già negli anni Sessanta partivano soprattutto i veneziani che risiedevano in alloggi a canone libero o bloccato (solo il 14% degli intervistati dal CENSIS aveva una casa in proprietà); ma a distanza di più di quarant’anni, un’indagine COSES (2009) ci riporta un quadro analogo: benché a fronte di una serie di motivazioni piuttosto articolata, il 60,3% degli intervistati che ha lasciato la città antica assegna un peso notevole nella scelta ai prezzi eccessivi dei fitti e degli alloggi, mentre solo per il 22,1% ha avuto un rilievo l’avvicinamento al luogo di studio e di lavoro. Anzi abbiamo un 15,3% preoccupato dall’allontanamento dalla città, dove continua a lavorare/studiare.
D’altra parte, quest’ultima analisi non fa che confermare gli esiti di studi precedenti degli anni Ottanta e Novanta (COSES 1980 e Osservatorio Casa 1997): in particolare, l’indagine dell’Osservatorio Casa sui motivi dell’abbandono tra 1992 e 1996 (v. in part. pagg. 26 e ss.) evidenzia come primo motivo di emigrazione sempre il problema della casa (61,8%). A ciò si aggiunge che, tra quanti vorrebbero tornare a vivere in Laguna (il 57,3% degli intervistati), il 60,2% lo farebbe a condizione di un abbassamento dei prezzi delle abitazioni.
Il rapporto COSES 2009 si colloca sulla stessa linea: il 58% del campione coinvolto nell’analisi vorrebbe tornare a vivere in città e, di questi veneziani, ben l’81% tornerebbe in città se solo gli alloggi avessero prezzi accessibili; 2 intervistati su 3, infine, sarebbero rimasti a Venezia se avessero trovato una casa che soddisfaceva le loro esigenze di vita (in senso lato).
Al netto di tante, ulteriori considerazioni che si potrebbero fare (un dato importante è, ad esempio, che più di 1 su 3 degli entranti (pochi) in città storica si trasferisce per avvicinarsi al luogo di lavoro), queste analisi restituiscono un dato evidente e costante nel tempo: è la casa, una decina di anni fa come quarant’anni fa, il problema centrale – anche se certo non il solo – che spinge tanti veneziani a lasciare la città. E in particolare, hanno un peso preponderante i costi della casa in locazione.
Venendo all’oggi possiamo limitarci ad osservare come l’espansione dell’extra-alberghiero e l’avvento di Airbnb non abbiano fatto altro che esasperare, rendendolo inaccessibile, un mercato già difficile per il veneziano medio: gli ultimi dati dell’Osservatorio Turismo del Comune e dell’Ufficio statistica della Regione (2022) parlano d’altronde di 8.748 alloggi sottratti al mercato residenziale e offerti ai turisti come affittacamere, b&b, o locazioni brevi[5]. Considerato il numero imponente di case private che comunque rimangono inoccupate nel comune (oltre 14.000 secondo un’analisi di Solo Affitti del 2016), si capisce bene come il serbatoio che alimenta il mercato turistico sia costituito, almeno in parte, anche da case precedentemente in affitto e ora convertite all’accoglienza, e non solo da case dirupate che pochi meritevoli avrebbero recuperato all’antico splendore.
Ci limitiamo ad aggiungere altri due elementi: secondo un’analisi di Engel & Völkers del 2016, ben il 70% degli acquirenti di immobili a Venezia risulta straniero. Ce lo ricorda anche una neonata associazione dei proprietari di affitti brevi che – per criticare il noto emendamento dell’On. Pellicani e il regolamento comunale che auspicabilmente metterà un ragionevole freno alle loro attività – paventano “nuovi speculatori stranieri” (citazione dalla Nuova Venezia). Peccato che dimentichino di raccontare come – sempre per Engel & Völkers – il 75% di tutti gli acquisti (italiani e stranieri) sia fatto per investimento e vada perciò ad ingrossare proprio le fila degli affitti brevi che occhieggiano sui portali internazionali. La scelta è quindi tra la speculazione del perfido straniero d’Albione (ben il 25% degli acquirenti è britannico) oppure la più nostrana e verace speculazione italiana (che poi sia veneziana non si sa, qui i dati latitano): speculazione comunque rimane, e ce lo dicono gli stessi agguerriti lobbysti.
Secondo elemento: gli attori pubblici e, in special modo, ATER e Comune di Venezia non brillano certo nella gestione del patrimonio immobiliare di pertinenza, dal momento che sono circa un migliaio le case sfitte e in attesa di lavori di recupero che giacciono vuote in Laguna. Lo abbiamo denunciato più volte e continueremo a tenere alta l’attenzione. Va detto però che i numeri delle case pubbliche – ammesso che ci sia un congruo investimento per il recupero da parte di Regione e Comune – non sono sufficienti da soli a rilanciare vigorosamente la residenzialità nella città d’acqua. E, ad ogni modo, si tratta di un patrimonio immobiliare che si rivolge per definizione alle famiglie più povere e socio-economicamente in difficoltà della comunità cittadina, non però al ceto medio, che è quello che fa sempre più fatica a trovare alloggio in città, né a potenziali nuovi residenti. Questo va ricordato affinché le carenze del pubblico non diventino un diversivo nelle mani della grande proprietà immobiliare per sviare l’attenzione dal cuore del problema: la casa dei privati a Venezia è divenuta essenzialmente un investimento, o per diversificare il portafoglio di qualche grossa società o per la rendita immobiliare turistica (che sempre secondo lo studio di Engel & Völkers si attesta sull’8-10 per cento lordo).
Il quadro è chiaro: al netto delle tante problematiche che incidono sullo spopolamento, il cuore del problema era e rimane la riduzione dello stock immobiliare in affitto a prezzi accessibili nell’arco di settant’anni. Nei primissimi anni(’50-’60), come ci raccontano documentati studi, recenti e meno recenti (v. Segre 1972, Dorigo 1972 e 1973, Zanon 2000 e Zanardi 2020), il problema principale è stata la condizione pessima, spesso oltre il limite dell’insalubre, degli alloggi unitamente ai fitti elevati; poi (’70-’90), la leva principale per l’espulsione di una parte consistente di popolazione è stata l’ondata di sfratti per finita locazione resi possibili dall’approvazione della legge n. 392/1978 “sull’equo canone”[6], con la cacciata degli inquilini più poveri per far spazio a impiegati e famiglie facoltose, affiancata da un ampio trasferimento di unità immobiliari dall’uso residenziale al terziario, favorito dalla possibilità di procedere al cambio d’uso senza richiesta di autorizzazione, in assenza di lavori di restauro.
Questo è anche il periodo di un vasto risanamento edilizio, in parte foraggiato dalle varie leggi speciali (che non facevano adeguata distinzione tra piccolissimi e grandi proprietari), che hanno consentito un vasto processo di restauro anche delle parti comuni degli edifici, ma ottenuto risultati molto modesti in termini di abitazioni rimesse sul mercato della locazione. Infine (dal 2000 ad oggi), l’avvento del turismo di massa e la definitiva trasformazione turistica della città hanno spostato la rendita sul mercato dell’accoglienza, ben più remunerativo e sicuro del mercato residenziale (specie in tempi di crisi economica). Non a caso il ritmo degli sfratti si è mantenuto negli ultimi anni, alimentando una folta cronaca e suscitando numerose mobilitazioni[7].
L’osservatore cinico potrà tranquillamente riscontrare che si tratta di processi cui si è assistito in tutte le principali città storiche italiane: le esigenze del risanamento edilizio e della rendita proprietaria hanno ovunque portato all’espulsione degli abitanti appartenenti alle classi più povere e marginali, per poi toccare – in tempi più recenti – anche la classe media, in particolare con la turistificazione delle città d’arte. Si potrebbe pure osservare che la massimizzazione del profitto del proprietario (specie quello medio-grande) è logica conseguenza del libero mercato e del legittimo esercizio dei diritti di proprietà privata.
Ma riconoscere i diritti proprietari e registrare l’affermazione di una tendenza comune a tante città non può nascondere il fatto che il problema principale dello spopolamento di Venezia rimanga quello: gli alloggi veneziani (perlomeno quelli non abitati da residenti) sono stati e sono tuttora progressivamente dirottati su usi diversi dalla locazione residenziale: l’investimento, la locazione breve per i turisti, il temporaneo inutilizzo.
Che fare dunque?
Riconosciuto che il nodo centrale è rappresentato dalla casa in affitto, su questo sarà opportuno concentrare gli sforzi. Avanziamo alcune proposte – volutamente rivolte alla politica locale – per provare a invertire la rotta.
Una premessa è d’obbligo: atteso che il problema principale è quello degli alloggi privati sottratti al mercato residenziale (di quelli pubblici ne parliamo da anni e ne riparliamo più sotto), una seria proposta non può prescindere dal confronto con gli interessi dei proprietari. Ma il fronte proprietario è assai variegato e non è pensabile trattare in modo indiscriminato situazioni molto diverse fra loro, come sono quella del piccolo proprietario, che possiede una o due case, e del medio-grande proprietario, che controlla decine o centinaia di appartamenti. Mentre per i primi – spesso veneziani – conviene privilegiare la forma dell’incentivo e il rafforzamento delle tutele per incoraggiarli a reimmettere la casa sul mercato delle locazioni, con i secondi non si può prescindere da misure di contenimento e limitazione della rendita. Questo perché la preoccupazione di non vedersi pagato il canone e occupato l’immobile affligge, in fondo, solo il piccolo proprietario, per il quale le spese e i tempi lunghi dello sfratto per morosità possono diventare un’esperienza personale molto negativa; ma non certo le grandi proprietà, per le quali morosità e fattore tempo sono solo numeri che si possono ammortizzare con una gestione accorta e non implicano un coinvolgimento in prima persona. Ciò al contempo non vuol dire però che bastino i soli incentivi rispetto alla specifica questione delle locazioni brevi che, assicurando rendite di gran lunga superiori a quelle da locazione residenziale, necessitano perciò di una combinazione di strumenti.
Un’altra premessa, che parrebbe ovvia e scontata, va comunque fatta: non esiste un unico strumento miracoloso e risolutivo – sia esso la regolazione delle affittanze brevi turistiche o la riduzione dello sfitto pubblico –, ma piuttosto vi sono molti strumenti a disposizione dell’operatore pubblico, che è necessario utilizzare al meglio e in modo coordinato perché le politiche di ripopolamento abbiano successo (il tutto, naturalmente, avendo un obiettivo chiaro e condiviso).
Le proposte
a) Istituzione dell’Anagrafe degli alloggi inoccupati: si tratta di una proposta già avanzata dall’Osservatorio Casa anni fa; l’Anagrafe avrebbe il compito di censire gli alloggi vuoti in città, ricostruirne le proprietà e i motivi per i quali sono inoccupati; intraprendere un’interlocuzione con i proprietari (specie i più piccoli) per condurli, attraverso un percorso dedicato, a reimmettere l’alloggio sul mercato, eventualmente indirizzandoli all’Agenzia comunale per l’abitare (vedi punto c). Per incentivare la reimmissione sul mercato, il Comune potrebbe abbattere per alcuni anni le principali imposte sull’immobile, purché questo venga affittato con contratto libero (4+4; ad es. l’IMU potrebbe scendere sotto l’1,10% attuale, con una parziale rinuncia al gettito) o concordato (3+2; scendendo sotto all’attuale 0,76%). La copertura dei minori introiti può essere effettuata attraverso la generazione di risparmi di spesa con l’impiego dei proventi dell’imposta di soggiorno o del nuovo contributo di sbarco, se approvato (introiti questi che non possono essere destinati direttamente a copertura, perché tributi di scopo, ma che potrebbero così compensare almeno parzialmente l’impatto negativo del turismo sulla residenzialità).
E' qui opportuno ricordare come affronta il problema degli alloggi sfitti la città di Amsterdam. I proprietari che non affittano gli immobili per più di 6 mesi devono iscriversi ad un registro comunale e dopo 12 mesi sono obbligati ad affittare, pena il pagamento di una sanzione da 7500 euro. Non solo, se un proprietario affitta a prezzi sproporzionati e non stipula un contratto entro un anno, viene obbligato ad affittare a canone calmierato. Questo perché la casa, prima che un bene di mercato, è un bene di prima necessità[8].
b) Incentivazione della riconversione delle locazioni turistiche in locazioni residenziali: incentivi temporanei analoghi a quelli del punto a) potrebbero essere concessi, compatibilmente alle esigenze di bilancio, ai proprietari degli immobili che dimostrino la chiusura della locazione turistica ai sensi dell’art. 27-bis legge n. 11/2013 in essere nell’anno anteriore e la successiva conclusione di un contratto a canone concordato (si ricorda che comunque, in virtù della legge n. 260/2019, l’IMU per i canoni concordati è dovuta – previa dichiarazione – nella misura del 75% dell’aliquota comunale, perciò già con l’aliquota allo 0,76% il proprietario paga lo 0,57%).
c) Istituzione dell’Agenzia per l’abitare: riprendendo e rimodulando varie ipotesi avanzate da più parti nel corso degli ultimi anni (da ultimo, dalle opposizioni in Consiglio comunale[9]), l’Agenzia avrebbe il compito di seguire i piccoli proprietari nell’incontro con i potenziali inquilini, in coordinamento con le associazioni di categoria. Previo coinvolgimento delle istituzioni bancarie del territorio, il Comune diventa parte attiva, facendosi da garante per inquilini e impegnandosi a corrispondere al proprietario una quota di affitto e il pagamento delle spese processuali in caso di morosità. La contropartita sul fronte dei proprietari è data dalla rigorosa verifica della qualità abitativa dell’immobile nonché dalla limitazione della garanzia in via esclusiva ai soli affitti a canone concordato conclusi dai piccoli proprietari, in modo da promuovere la diffusione di contratti a prezzi più contenuti di quelli extra-large di mercato.
d) Ulteriore incentivazione dei canoni concordati: riduzione delle imposte comunali, compatibilmente con le esigenze di bilancio. È possibile guardare a quanto fatto a Firenze, dove si è portata allo 0,62% l’IMU su immobili accampionati a civile abitazione interamente locati con uno o più contratti a canone concordato inferiore di almeno il 10% rispetto al canone massimo previsto dai vigenti accordi territoriali per la fascia e tipologia di immobile di riferimento a cui appartiene l’immobile. In questo modo, il proprietario paga solo lo 0,46%, vista la riduzione al 75% ex lege. Anche qui i minori introiti si possono compensare con la partita di giro di cui al punto a).
e) Piano di recupero degli alloggi pubblici: drastica riduzione dello sfitto nel patrimonio pubblico, utilizzando i finanziamenti da Legge Speciale, PNRR, bonus 110%, PON metro, ecc., ma anche aumentando consistentemente i finanziamenti da bilancio comunale, portandoli ad almeno 4 milioni annui, coprendo così almeno i costi di manutenzione ordinaria del patrimonio;
f) Incremento dell’offerta abitativa pubblica, andando oltre il recupero degli alloggi sfitti, da realizzare all’interno di programmi di recupero di aree e edifici dismessi, con l’obiettivo di coniugare l’inclusione sociale con la riqualificazione urbana e ambientale di zone oggi abbandonate, riconsegnandole alla fruizione della città. Si tratta non solo di abitazioni, ma anche di spazi per attività artigianali o innovative, non solo ERP, ma anche offerta per il ceto medio – housing sociale, v. sotto).
g) Adozione del regolamento comunale sulle locazioni brevi: in attuazione dell’art. 37-bis del d.l. n. 50/2022 (cd. dl Aiuti), il regolamento comunale dovrebbe perseguire l’obiettivo di contingentare il numero di immobili sottratti al mercato residenziale per essere immessi sul mercato della locazione breve turistica. Per poter essere realmente efficace il regolamento dovrà interessare tutte le locazioni brevi (di durata inferiore ai 30 giorni), a prescindere dal fatto che l’attività sia svolta da società o persone fisiche o in forma di impresa. Ugualmente importante è che la nuova regolazione interessi anche i nuovi contratti di locazione breve che saranno stipulati da proprietari che già affittano o hanno affittato per brevi periodi ai turisti: diversamente il regolamento si limiterebbe a “fotografare l’esistente”, senza reali benefici sul mercato delle locazioni residenziali di lungo periodo, e si determinerebbe una discriminazione irragionevole tra proprietari (chi ha già affittato può continuare a farlo senza problemi, mentre ad altri – che non l’hanno mai fatto – viene precluso).
h) Contributi al risanamento degli immobili finanziati dalla Legge speciale, ma restringendo rigorosamente i beneficiari ai soli piccoli e piccolissimi proprietari (evitando così i gravi errori del passato) e rafforzando il vincolo sulla destinazione a abitazione principale/locazione residenziale.
i) Conclusione dei diversi progetti di recupero edilizio/social housing: diversi progetti per la residenzialità naufragati, o solo annunciati e mai partiti, vanno ripresi e realizzati (Scalera, ex-ACTV, ex-Orto botanico, ecc.), anche eventualmente con il modello proposto dal Consorzio CERV[10], teso a dare risposte alloggiative con una formula di cooperazione abitativa che ha già dato buoni frutti in luoghi fortemente turistificati come Cortina d’Ampezzo.
Bibliografia e materiali
CENSIS, Caratteri dell’esodo della popolazione del centro insulare di Venezia, 1973;
COSES, La mobilità residenziale della città antica, Indagine 2009: http://coses.comune.venezia.it/download/Doc1092.pdf;
W. Dorigo, Risanamento ed esodo, in Urbanistica, 1972, n. 59-60, pp. 93-103;
W. Dorigo, Una legge contro Venezia, Officina edizioni 1973;
F. Fava, Vuoti di normalità. Evoluzioni della casa veneziana nell’era del turismo globale, in Engramma, 155 aprile 2018: http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3408;
Osservatorio Casa, 1995-2014: https://ocio-venezia.it/erp/2020/12/31/archivio-osservatorio/;
Regione Veneto, VENEZIA Capitale Mondiale della Sostenibilità. Dossier del progetto - Versione preliminare, Allegato A alla DGR n. 278 del 12 marzo 2021: https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/Pubblica/Download.aspx?name=Dgr_278_21_AllegatoA_443800.pdf&type=9&storico=False
G. Romanelli, G. Rossi (a cura di), Abitare a Venezia: esodo e sfratti, in Materiali veneti, n. 4, 1976;
G. Segre, Degrado edilizio e concentrazione nella proprietà immobiliare, in Urbanistica, 1972, n. 59-60, pp. 104-108;
C. Zanardi, La bonifica umana. Venezia dall’esodo al turismo, Unicopoli 2022;
G. Zanon, Dal sovraffollamento all’esodo: popolazione ed occupazione a Venezia nel ‘900, in Venezia novecento, Quaderni di Insula n. 4, settembre 2000, pp. 19-32.
Note
[1] La situazione abitativa veneziana del tempo è ben descritta dalle prime strofe di Cavàrte dal fredo di Alberto D’Amico (1973):“Cavàrte dal fredo, dall’umidità/ dai muri bagnài, dal letto geà// portarte distante, fora de qua/trovarte una casa, la comodità/tre stanse col bagno e ‘l termosifòn/ e tanta acqua calda, che la vien co ti vol/ scaldarte i pìe, scaldarte le man/ xe longo l’inverno, non basta el me fià!”.
[2] Fonte ISTAT; elaborazione Materiali veneti 1972.
[3] Fonte ISTAT; elaborazione COSES 2009.
[4] Fonte ISTAT 2011, elaborazione F. Fava, Vuoti di normalità. Evoluzioni della casa veneziana nell’era del turismo globale, 2018. Il numero complessivo di immobili occupati per Fava (27.929) differisce di poco con quello indicato dal Comune di Venezia ‐ Servizio Statistica e Ricerca (28.197).
[5] Dati da “Venezia, scoperti 19 affittacamere e B&B abusivi grazie a Dogale, il software anti- furbetti”, la Nuova Venezia, 13 agosto 2022; d’altronde, al settembre 2022, solo sulla piattaforma Airbnb sono presenti 6.182 interi appartamenti (dati InsideAirbnb).
[6] Ancora tra il 1991 e il 1995 le sentenze di sfratto emesse dalla Pretura di Venezia risultano 1.416 e gli sfratti eseguiti 852. Il rapporto sfratti eseguiti/sfratti emessi nella città insulare è molto alto e pari al 60% (a Mestre questa percentuale scende al 15%). Si v. Osservatorio Casa 1996, pp. 6-8.
[7] Ad esempio: https://tinyurl.com/3f54bm6j; https://tinyurl.com/yxc2bzdf; https://tinyurl.com/38whtxfv; https://tinyurl.com/2p8vth8w; https://tinyurl.com/2zsu7a6a; o le tante lettere inviate e pubblicate da La Voce di Venezia come questa: https://tinyurl.com/5n9x99cv.
[8] Vedi: https://tinyurl.com/zyve92vh
[9] Vedi: https://tinyurl.com/mv99apa3
[10] Vedi: https://tinyurl.com/2p8npn6v
Social Housing/Edilizia convenzionata o Edilizia Residenziale Sociale
Si tratta di progetti che si collocano tra l’edilizia popolare e il mercato immobiliare libero destinati alla fascia di popolazione che non può accedere ai bandi ERP ma che non riesce ad acquistare o sostenere un canone d’affitto di un appartamento a prezzi di mercato. Il social housing è definito dal D.M. 22 aprile 2008.